TRADITION


 

 

Francesco La Cava

 

Maria Gracia Melina

 


 

L’OFFERTA NUZIALE DEI PINAKION DI LOCRI EPIZEFIRI VIVE FINO AGLI ANNI 1960 NEI PAESI DELLA LOCRIDE

I Pinakes locresi, prodotti da artigiani locali tra il 490 e il 450 A. C., offerti come ex voto nel tempietto di Persefone, ed esposti adesso nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, costituiscono un patrimonio di inestimabile valore: testimoniano scene del mito di Persefone, di vita giornaliera, di costume, di attività praticate.

Due Pinakes, che si riferiscono alla sfera nuziale, raffigurano l’offerta del corredo e la cassa con il corredo.

Nei paesi della Locride, fino alla fine del 1960, il corredo della sposa costituiva un vero e proprio rituale.

Circa dieci giorni prima della data stabilita per le nozze, veniva trasportato il corredo della sposa nella casa nuziale.

Un tempo la maggior parte delle case erano piuttosto modeste, costituite da uno o due ambienti, e solo quelle delle persone benestanti avevano più vani e i “catoi” (greco catogheion) che fungevano da dispensa, stalla, magazzino di cereali, olio, vino ecc.

Il mobilio era alquanto modesto: un tavolo, poche sedie, una piccola credenza ricavata nel muro, il letto con i trespoli.

La cassa del corredo la possedevano tutti.

La cosa più particolare era il trasporto del corredo,  cui erano preposte delle donne, spesso ragazze amiche della sposa che facevano a gara nel rendere questo “onorevole servizio”.

Il corredo era costituito soprattutto da coperte di lana, di ginestra, di cotone, di seta vergine; da lenzuola di lino, asciugamani, tovaglie di lino e di ginestra e da qualche pezzara (coperta rustica fatta da rimasugli di stoffa); il tutto era rigorosamente tessuto al telaio e ricamato a mano.

Una vera e propria processione iniziava la mattina verso le 9.00, con ordine i vari pezzi venivano posti in cesti di vimini “cofhini”, e con fare lento e maestoso le ragazze sfilavano per le viuzze del paese fino alla casa della sposa.

Tutti si affacciavano sugli usci e alle finestre per ammirare e fare i complimenti.

A secondo della condizione economica, il trasporto poteva durare anche  quattro o cinque giorni.

Ad attendere le donne con le ceste del corredo c’erano la futura sposa, la mamma, la suocera, i parenti più intimi e qualche comare.

Appena entravano nella casa, prima di depositare le ceste, le donne più anziane pronunciavano formule augurali e di buon auspicio che ripetevano più volte.

Con fare sacrale depositavano la cesta e con mani esperte sistemavano con ordine il corredo nella cassa inframezzando qualche immaginetta sacra, un ramoscello di ulivo e di palma benedetta, a protezione della futura famiglia.

La nuova famiglia possedeva anche una cassa più piccola per i fichi secchi.

Avere la cassa di fichi secchi era possedere un cibo calorico per l’inverso e leccornie da offrire agli amici e ai bambini.

I fichi venivano essiccati al sole durante l’estate, i più belli venivano infilzati in stecchetti di canna, venivano fatte anche delle bambole per regalarle alle bambine e alla fidanzata per la festa del I Maggio.

Gli scarti (“pofhidia”), fichi più piccoli, macchiati, venivano usati per i decotti e per nutrire il maiale.

   

 

  

 

 

 

 

 

                                                                                             Maria Grazia Melina