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 La gestualità della tragedia greca vive ancora nei paesi della Locride

 

Il primo di giugno del 2005, noi alunni del Liceo F.La Cava di Bovalino, accompagnati dai nostri professori, abbiamo assistito a una delle più belle tragedie di Sofocle, l’Antigone.

La tragedia si apre, dopo la reciproca uccisione dei due fratelli Eteocle e Polinice, con la notizia dell’editto con il quale Creonte, il nuovo signore di Tebe, vieta la sepoltura di Polinice, reo di aver tradito la patria, movendo guerra ad essa al fine di strappare il regno ad Eteocle. Antigone sfida la “legge scritta” di Creonte, tenta per ben due volte di seppellire il fratello e, per la sua disobbedienza, viene imprigionata in una caverna, dove si uccide prima che Creonte possa cambiare la propria sentenza di morte, che nel seguito dell’azione drammatica si rivelerà rovinosa anche per lui.

La prima emozione che tutti noi abbiamo vissuto, col cuore e con la mente è nata dal fatto stesso di trovarci al teatro greco di Siracusa, di entrarvi, prendere posto e pensare che moltissimi anni prima, in un tempo che ci sembra lontanissimo, i Greci, gli antichi abitanti di Siracusa, sedevano lì.

L’emozione più forte, più grande è stata però assistere alla tragedia, ascoltare i dialoghi, avvertire e sentire quasi come nostro il dolore dei personaggi, sentire crescere l’ansia per il procedere degli accadimenti, stare col fiato sospeso ad ogni grido, ad ogni passo dei personaggi e poi commuoversi alla fine.

Assistere ad una tragedia non significa semplicemente guardare lo spettacolo, ascoltare le voci e i suoni: per noi ha significato molto di più, ha significato vivere, sentire vicino a noi quel periodo e quel mondo, per chiunque così lontani, e farne quasi parte.

La riflessione propostaci da Sofocle mettendo in scena quella storia è sempre valida: i sentimenti degli  uomini sono sempre gli stessi, sempre le stesse sono le sue reazioni nell’ira, nel dolore.

I valori espressi nei gesti e nelle parole di Antigone non sono passati, né possono essere sepolti nella nostra memoria perché sono ancora vivi, fanno parte della nostra vita e della nostra quotidianità. Molti gesti, molte tradizioni, molti modi di fare del mondo greco fanno parte anche del nostra cultura magno-greca, tramandati dalle precedenti generazioni alla nostra e dalla nostra alle successive. I lamenti, le urla di dolore e disperazione che abbiamo ascoltato al teatro sono gli stessi che si ripetono ad ogni evento luttuoso dei nostri giorni. L’angoscia e il tormento di Antigone sono uguali allo sconforto e al pianto di ogni madre che perde un figlio, di ogni moglie che perde il marito, ai quali noi assistiamo durante le veglie funebri che si è soliti fare attorno al defunto.

Quello che i Greci ci hanno lasciato è un patrimonio immenso e quello che di loro vive ancora in mezzo a noi è altrettanto grande e forte: la nostra storia e la nostra quotidianità sono permeate di tutto ciò che abbiamo visto rivivere sulla scena del Teatro Greco di Siracusa e, proprio per questo sono così ricche.