|
ΠΑΡΑΔΟΣΕΙΣ |
|
Francesco La Cava
Maria Gracia Melina
|
“IL MATRIMONIO” Il matrimonio era ritenuto un’istituzione tra le più importanti sin dall’epoca preistorica omerica. La famiglia, tramite il matrimonio, era il fondamento dell’ordine sociale e la condizione necessaria per la conservazione della specie. I
valori del matrimonio sono tenuti in grande considerazione nei poemi
omerici, ricordiamo le coppie come Zeus ed Era, Ettore e Andromaca, Ulisse
e Penelope. Condizione
necessaria per il matrimonio erano gli hédna,
regali nuziali che il futuro sposo consegnava al padre della sposa come
una sorta di promessa. Il costume di fornire la sposa di una dote esisteva
e sopravvive ancora in alcuni paesi della Calabria di origine greca. La
dote veniva stabilita dai rispettivi genitori prima del matrimonio: essa
consisteva in capi di bestiame, piccoli appezzamenti di terreno e la casa
(obbligo che spettava al padre della sposa). Diversamente
da oggi, una volta le due persone che si sposavano raramente avevano avuto
occasione di incontrarsi, poiché a decidere un matrimonio erano i
padri dei futuri sposi ed erano frequenti i matrimoni anche fra primi
cugini. Quando il padre dello sposo sceglieva la ragazza per il figlio,
incaricava un signore, “l’ambasciatore”, che quasi di nascosto si
recava presso la casa della ragazza; se la risposta era positiva, dopo tre
giorni veniva posta fuori dalla porta una pietra, segno che il
fidanzamento poteva avvenire e in breve tempo sarebbe stato celebrato il
matrimonio. La
mamma della ragazza preparava il corredo fatto da asciugamani, tovaglie,
coperte di lana e ginestra rigorosamente tessuti al telaio. Il
vestito dello sposo era costituito da una camicia di lino bianco, da un
gilet e dai pantaloni neri che arrivavano fino a metà gamba, di
velluto o di orbace (tessuto di lana di pecora infeltrito), dai calzettoni
bianchi e dai calzari di cuoio. L’abito
della sposa non era bianco, ma variamente colorato, di seta e formato da
tre pezzi: gonna, gonna lunga “saja”, grembiule e camicia. Le scarpe
dei ricchi erano di pelle, quelle dei poveri di stoffa. La
sposa aveva i capelli intrecciati e raccolta dietro la nuca o avvolti
intorno alla testa a forma di corona su cui poggiava un fazzoletto di seta
colorato. Il
matrimonio veniva celebrato in Chiesa verso le undici e di domenica, in
modo tale da far partecipare tutto il paese. All’uscita dalla Chiesa,
gli sposi venivano salutati con il lancio di monetine, grano e petali di
fiori. Prima
del pranzo, la mamma dello sposo offriva ai due sposi un cesto con dentro
il pane a forma di pesce, di angelo e di ciambella, pronunciando delle
formule che auguravano prosperità economica e fertilità.
Questo rito ricorda il pais
amphithales, giovinetto che distribuiva, durante il pranzo nuziale,
pane da un cesto, pronunciando le parole “ho fuggito il male, ho il
meglio”, che alludevano simbolicamente il passaggio da un tipo di vita
primitiva ad uno più civile. Il
pane veniva scelto perché prodotto
dalla coltivazione della terra ed eterno simbolo dei valori della civiltà. Il
banchetto nuziale si svolgeva presso la casa della sposa ed era a base di
maccheroni fatti a mano, carne di capra o di pecora, intestini degli
animali che ricordavano il rito greco di cui parla Omero nell’Odissea,
XII, 363-64 “i visceri li arrostivano tutti, libando con acqua/ E
quando i cosci furono arsi e mangiarono i visceri”; c’erano poi i
dolci, fatti di farina, miele e frutta secca. Come bevande si faceva largo
uso di vino e acqua e come liquore si usava il vino dolce greco o
mantonico. Il
pranzo veniva allietato fino a tarda sera da canti e balli al suono di
tamburello e organetto. Il
giorno seguente gli sposi venivano svegliati presto per ricevere i doni in
natura (grano, vino, olio, legumi) da parte dei parenti. Questo ricorda
l’antico rito greco degli epaulia,
con il quale erano però i genitori della novella sposa a portare
solennemente, al suono dell’aulos,
doni alla nuova coppia.
Maria Grazia Melina |